L'uomo di oggi di fronte a Cristo. Il racconto dei vangeli
Perché la ChiesaProponiamo ampi
stralci
dall’intervento di Julián Carrón al Centro Culturale di Milano,
il 23 febbraio
scorso. Un contributo entusiasmante al dibattito intorno al rapporto tra l’uomo
di oggi e la figura di Cristo
«Chi si imbatte in Gesù Cristo, sia un giorno dopo la sua scomparsa
dall’orizzonte terreno, sia un mese dopo o cento, mille, duemila anni dopo,
come può essere messo in grado di rendersi conto se Egli risponde alla
verità che pretende di essere?… Io, che vengo il giorno dopo quello
in cui Cristo se ne è andato, come faccio a sapere se veramente si tratta
di qualcosa che sommamente mi interessa, e come faccio a saperlo con ragionevole
sicurezza?… È quindi importante che, oggi, chi viene dopo - e per
di più molto tempo dopo - l’avvenimento Gesù di Nazareth,
possa accostarlo in modo tale da raggiungerne una valutazione ragionevole e certa,
adeguata alla gravità del problema» (L.Giussani, Perché la
Chiesa, pp. 9-10).
La modalità più diffusa per raggiungere questa valutazione ragionevole è quella
dell’indagine storica, dello studio delle fonti cristiane, principalmente
i vangeli, e tutte quelle fonti antiche che possano dirci qualcosa su Gesù.
Come esempio basta sfogliare uno degli ultimi libri pubblicati sulla questione
in Italia: G. Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica (Edb,
Bologna 2002). Nella prefazione l’autore ci riferisce il fiorire di studi
di grande impegno dell’ultimo ventennio e il risultato: una serie impressionante
di ipotesi e ricostruzioni: «Un “profeta escatologico” proteso
verso la riaggregazione delle dodici tribù d’Israele; un carismatico
di grande fascino capace di gesti taumaturgici; un maestro di vita eversivo o
un guru rivoluzionario; un contadino ebreo mediterraneo di tendenza cinica; un
filosofo cinico tout court; un rivoluzionario sociale non violento; un giudeo
che ha esaltato la legge mosaica radicalizzandone le esigenze, in particolare
il comandamento dell’amore del prossimo; un fariseo di tendenza hillelita;
un giudeo marginale; un rabbi; un mago che ricorreva ad arti segrete per guarire
malati e liberare indemoniati». Una serie impressionante di ipotesi: ecco
quello che ha davanti oggi chi vuole farsi un’opinione fondata su Gesù.
(…)
Alcuni non sono così scettici riguardo alla fonti cristiane. Klemens Stock,
professore del Pontificio Istituto Biblico di Roma, ha richiamato l’attenzione
sulla sua vera natura. Gesù - ricorda - non è stato mai un uomo
solitario, dall’inizio ha formato un gruppo di discepoli intorno a Lui,
che hanno ricevuto il contraccolpo della sua presenza. Per questo, non solo parlano
di Gesù le parole che dice, ma anche l’impressione prodotta in quelli
che sono vicini. «Per questo, la cosa principale che rimane di Gesù dopo
la Pasqua -insieme alla presenza dello Spirito - non sono antologie di parole
autentiche e azioni narrate con esattezza, ma gli uomini viventi che hanno avuto
l’opportunità di conoscere la sua persona e il suo messaggio attraverso
la convivenza con Lui. Gesù non ha confidato il suo agire a dei documenti,
ma a una testimonianza vivente. Viene accolto e permane presente non in riproduzioni
tachigrafiche, ma in testimoni». Questo spiega la natura dei vangeli. «I
vangeli, col quasi inseparabile insieme di quello che procede originariamente
da Gesù e quello che procede dai testimoni posteriori a lui, occorre guardarli
come un racconto dell’agire [Wirken] di Gesù in parole e opere,
e allo stesso tempo come un registro dell’influsso [Wirkung] di Gesù fondato
nell’incontro e nella convivenza». Così guardati, i vangeli
permettono di accedere al vero Gesù. «Chi vuole conoscere il vero
Gesù, le sue vere intenzioni e il suo vero messaggio, fa bene ad ascoltare
i vangeli». Questa descrizione salva il fossato tra il Gesù storico
e il Cristo della fede testimoniato nei vangeli, ma all’uomo di oggi basta
ascoltare i vangeli per accedere veramente a Gesù? Vedremo che le cose
non sono così semplici già dall’inizio. Questo è il
valore della storia della ricerca che sinteticamente presentiamo.
La Chiesa s?accostata sempre
alla Scrittura nell?veo della Tradizione
Come l?perienza cristiana ?ispensabile
per l?tentica interpretazione
del Nuovo Testamento in generale e dei vangeli in particolare, lo pone in modo
manifesto il caso dei galati.
I membri di questa comunit? avevano ricevuto l?nuncio del vangelo grazie all?tivit? missionaria
dell?ostolo. (?
Non ?sato molto tempo e si sentono disturbati da alcuni intrusi che annunciano
loro un altro vangelo, che, insieme alla fede in Cristo, pretende la circoncisione
e le opere della legge per la propria salvezza (4,21; 5,2; 5,4; 6,12). I galati
si trovano cos?vanti a due versioni del vangelo, davanti alle quali devono
decidere.
Sorpreso dalla rapidit? con cui i galati stanno passando a un ?altro vangelo?,
Paolo scrive loro la Lettera per dimostrare che ?non c?un altro vangelo? oltre
a quello che egli ha annunciato loro e che l?tro non ? una deformazione
dell?ico vangelo di Cristo (cfr. 1,7). (? Paolo sa per propria esperienza
che quello che port?lui al convincimento della verit? di Cristo fu l?perienza
del suo incontro con Cristo. Prendendo in considerazione questo non risulta strano
che Paolo cominci richiamando i galati alla loro esperienza. (? In questo passaggio
Paolo pone davanti ai loro occhi in primo luogo l?er ricevuto lo Spirito e
i prodigi che questo Spirito ha operato tra di loro. Come osserva acutamente
A. Vanhoye, ?l contesto si tratta necessariamente di un fatto osservabile,
constatabile. Diversamente, non potrebbe servire come argomento?. Per essere
un fatto constatabile, i galati hanno potuto avere esperienza di Lui. E questo
consente a Paolo di appellarsi a questa esperienza come criterio decisivo per
chiarirsi nel dilemma in cui si trovano. Per questo, ?appello all?perienza,
da parte di Paolo - ha sottolineato J.D.G. Dunn - non ?ginale o casuale?.
Una volta che Paolo ha messo davanti a loro le grandi cose delle quali hanno
avuto esperienza, pu?proporre la questione decisiva: ?lui che dunque vi concede
lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge
o perch? avete creduto alla predicazione?? (Gal 3,5). Se sono leali con l?perienza
vissuta, essi stessi possono riconoscere in essa che le cose grandi che sono
successe tra loro non hanno la loro origine nell?servanza della legge, poich? il
vangelo che Paolo predic?loro non lo includeva, ma unicamente nell?colto della
fede. Solo essa ?rigine dei frutti che vedono con i loro propri occhi. Questo ?motivo per il quale conviene loro continuare ad abbracciare il vangelo che ha
prodotto tra loro cos?eziosi frutti. Con questo appello alla loro esperienza,
Paolo offre il metodo per uscire dalla perplessit? nella quale si trovano. (?
La loro esperienza permette loro di giudicare da se stessi, senza dipendere in
questo giudizio n? da Paolo n? dagli intrusi. ? in questa esperienza che si fa
trasparente per loro la verit? del Vangelo che Paolo ha loro predicato. (?
L?sensatezza dei galati, l?razionalit? della loro posizione, sta nel fatto
di non voler sottomettere la loro ragione all?perienza vissuta. (? L?venimento
di Cristo, morto e risorto, che, per opera dello Spirito, si fa presente nella
Chiesa e attraverso la Chiesa comunicandosi alla ragione e alla libert? dell?mo,
rende possibile un?perienza che permette di comprendere l?nuncio cristiano
e permette di decidere in qualsiasi momento fra le diverse interpretazioni che
di Lui appaiono nella storia umana.
L?venimento cristiano, che la Chiesa continua a trasmettere nell?co della
storia ?lla sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto?, per adoperare un?pressione
della Dei Verbum (n.8), rende possibile a tutti quelli che, per grazia, accettano
di partecipare liberamente nella loro vita a quella esperienza, di raggiungere
la certezza sulla verit?, su ci?che essa annuncia. Questo ? che permette
loro di avvicinarsi alla Scrittura con questa esperienza nei loro occhi. ?
manibus nostris sunt codices, in oculis nostris sunt facta?, dice pi? tardi sant?ostino.
Per questo, la Chiesa si ?pre messa in relazione con la Scrittura nell?bito
della tradizione nella quale essa era nata e che costituiva il luogo della trasmissione
dell?venimento cristiano del quale la Scrittura ?timone. (? A partire
da un certo momento della storia moderna, non si considera pi? possibile l?perienza
che testimoniano le lettere di Paolo e la Chiesa antica e medioevale.
La novità protestante: sola Scriptura
Come abbiamo visto, dall’inizio la Chiesa si era accostata alla Scrittura
nell’alveo della Tradizione. Perciò si capisce subito la novità che
rappresenta il principio protestante: sola Scriptura. Per il fatto d’essere
composta da uomini peccatori, la Chiesa non era in grado di trasmettere la purità dell’origine,
diceva il protestantesimo. Soltanto la Scrittura l’aveva conservato. Perciò,
solo essa assicurava un vero rapporto con l’origine. Questa purità risplende
nella Scrittura con tal claritas che basta essa stessa per la sua comprensione.
Non ha bisogno di nessuna autorità umana per una interpretazione vera.
La Scrittura è interprete di se stessa.
Malgrado il principio della sola Scriptura, la Riforma non ruppe totalmente il
vincolo con la Tradizione; legge ancora la Scrittura nell’alveo dei grandi
concili antichi che la Riforma accetta. Ma il principio era stato stabilito.
Non fu necessario molto tempo per vedere che l’uso che di esso faceva la
Riforma non era in grado di resistere alla pressione culturale.
Dalla sola Scriptura alla sola Ratio: l?luminismo
Con l?ruzione dell?luminismo,
vediamo una sorta di secolarizzazione del principio protestante: la sola Scriptura
diventa sola Ratio. Non facendo pi? l?perienza
che testimoniava la Chiesa antica e medievale, la ragione resta isolata dall?perienza
della fede e si erge a misura di tutte le cose. (? Eretta come tribunale ultimo
di giudizio, la ragione riconosce come sole vie d?cesso alla Scrittura gli
stessi metodi che si utilizzano nelle scienze della natura. Solo cos? potrebbe
evitare l?terferenza delle credenze del soggetto, cio?la Tradizione, nell?costarsi
alla Scrittura. La fede rimaneva esclusa a priori dal metodo. Il fatto che la
Scrittura fosse un?era letteraria antica imponeva che fosse avvicinata con
gli stessi metodi usati per comprendere qualsiasi opera del passato, metodi letterari,
storici e filologici. C?a un?igenza giusta in questo nuovo approccio. La
parola di Dio era testimoniata nella parola umana e solo attraverso questa si
poteva accedere a quella. (? In questo modo rimaneva evidente il carattere storico
del messaggio biblico. Ma il riconoscimento di questa esigenza giusta non fu
alla pari del riconoscimento dei limiti di tale metodologia. (?
L?eale di una oggettivit? libera dall?terferenza della soggettivit? si rivel?con
il tempo irrealizzabile. Nonostante l?o di metodi che promettevano tale oggettivit?,
la divergenza dei risultati dimostrava che era stato impossibile eliminare il
soggetto che usava il metodo. La tomba di questa posizione fu l?era di A. Schweitzer,
La storia della ricerca moderna sulla vita di Ges?, che rese chiara l?possibilit? di
una ricostruzione storica della vita di Ges? e rese evidente il suo vero obiettivo: ?
ricerca storica sulla vita di Ges? non nasceva da un interesse veramente storico,
ma piuttosto cercava nel Ges? della storia un aiuto nella lotta per liberarsi
dal dogma?
Riconoscimento della presenza del soggetto nella ricerca: l’ermeneutica
Fu, dunque, lo stesso sviluppo della ricerca ciò che costrinse a riconoscere
l’impossibilità di eliminare la partecipazione del soggetto nell’uso
del metodo. (…) Ognuno descriveva Gesù a seconda dei suoi preconcetti. «Nessun
metodo è innocente» ha proclamato Paul Ricoeur.
Però se i preconcetti sono inevitabili «come è possibile
- si domanda il cardinale Ratzinger - raggiungere una comprensione che non sia
fondata sull’arbitrio dei miei presupposti, una comprensione che mi permetta
veramente di comprendere il messaggio del testo, restituendomi qualcosa che non
viene da me stesso?». (…) Come posso essere sicuro di non ascoltare
me stesso quando penso di ascoltare la Scrittura?
Risposta del Vaticano II alla sfida dell?luminismo
?o nella sacra Scrittura
ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana? (Dei Verbum, 12). (?
Cos? Dei Verbum indica un principio di metodo teologico fondamentale per accostarsi
alla Scrittura: soltanto nell?veo della Tradizione viva di tutta la Chiesa
e della regola della fede si pu?scoprire il vero senso del testo sacro. Il Concilio,
dunque, non considera la Tradizione un ostacolo che rende difficile l?cesso
al vero senso del testo, ma ci?che lo rende possibile. ? questo criterio teologico
del metodo ?ontestabilmente in contrasto con l?ientamento metodologico
di fondo dell?egesi moderna; ?cisamente, anzi, ci?che l?egesi tenta
di eliminare a ogni costo. Questa concezione moderna pu?essere descritta in
questo modo: o l?terpretazione ?tica, o si rimette all?torit?; le due
cose insieme non sono possibili?. (? ? possibile una articolazione della ragione
e della Tradizione in modo tale da non mortificare n? l?a n? l?tra?
Avvenimento e ragione
Per risolvere la questione il Concilio Vaticano II ha dato un grande contributo
con il ricupero della categoria di “avvenimento” per descrivere la
Rivelazione.
E il Concilio aggiunge che questo avvenimento della Rivelazione, Gesù Cristo,
permane presente nella storia trasmettendosi attraverso la totalità della
vita della Chiesa. Questo è quello che chiamiamo Tradizione.
L’importanza di questa categoria di avvenimento nel rapporto con la ragione
e la libertà è stata messa in evidenza dall’enciclica Fides
et ratio. Secondo la Fides et ratio, l’avventura della conoscenza parte
dallo stupore suscitato nell’uomo dalla realtà creata: «l’essere
umano si sorprende nello scoprirsi immerso nel mondo». Questa esperienza
elementare contiene tutti i fattori fondamentali di ogni conoscenza: la totalità dell’uomo,
ragione e libertà, è colpita dalla realtà in cui sta immerso.
Questo contraccolpo è, dunque, l’inizio di un cammino in cui la
ragione e la libertà sono chiamate a compiere la loro natura. Lo stesso
fenomeno avviene quando quello che viene incontro all’uomo è la
rivelazione. Se la rivelazione ha il carattere d’evento storico, quando
entra in rapporto con l’uomo non può non colpirlo, provocando la
sua ragione e la sua libertà. Così lo mettono in evidenza con semplicità i
racconti dei vangeli, che testimoniano lo stupore che suscitava Gesù in
chi lo incontrava e destava la domanda: «Ma chi è costui?» (Mt
8,27). (…)
Quindi, senza l’avvenimento della Rivelazione ragione e libertà non
riescono a essere se stesse, perché la capacità della ragione è rimasta “offuscata” a
causa della disobbedienza originale (Fides et ratio, 22). «Gli occhi della
mente non erano oramai più capaci di vedere con chiarezza», così che «la
ragione è rimasta prigioniera di se stessa». Soltanto un intervento
dal di fuori ha potuto cambiare questa situazione, restituendo alla ragione tutta
la sua apertura originale. «La venuta di Cristo è stata l’evento
di salvezza che ha redento la ragione dalla sua debolezza, liberandola dai ceppi
in cui essa stessa s’era imprigionata» (Fides et ratio, 22). Grazie
a questa liberazione la ragione può raggiungere il suo oggetto di conoscenza,
senza rimanere prigioniera dalla propria misura.
Conclusione
L?venimento cristiano libera la ragione dai limiti nei quali abitualmente si ?accomoda? seguendo
i costumi della propria cultura e tradizione, la restituisce al suo dinamismo
pi? proprio che ?llo di aprirsi liberamente alla comprensione della totalit? della
realt? nella sua novit? radicale, come presenza di Dio in mezzo agli uomini,
la porta gratuitamente pi? in l? di dove arriverebbe con le sue sole forze. Quando
la libert? di quelli che Lo incontrano non si sottrae all?trattiva che la presenza
dell?venimento cristiano provoca in loro, inevitabilmente si impegna a verificarne
la corrispondenza con tutti gli aspetti della realt?, raggiungendo cos? certezza
che le consente di aderire razionalmente a Lui. (?
Il caso di Paolo e dei galati ?adigmatico in qualsiasi momento della storia,
poich?, come a loro, l?venimento di Cristo si fa contemporaneo nella vita della
Chiesa a ciascun uomo nelle sue circostanze storiche e culturali, permettendogli
di compiere la stessa esperienza. Come ha scritto H. Schlier, ? senso intimo
e peculiare di un avvenimento e pertanto dell?venimento stesso nella sua verit?,
si apre (rivela) sempre solo a una esperienza che si abbandoni a esso e in quest?bandono
cerca di interpretarlo, a un?perienza che ?a, se ?guata all?venimento
in questione?.
Questa esperienza fornisce quella ?finit? vissuta con ci?di cui parla il testo?,
che ?econdo il documento della pontificia commissione biblica - ci?che rende
accessibile la vera conoscenza del testo biblico e pertanto la sua autentica
interpretazione.
In questo contesto la Chiesa riconosce l?ilit? e promuove l?o di tutti i
metodi che possono contribuire alla comprensione del testo della Scrittura. Proprio
il riconoscimento dell?ilit? di questi metodi ? dimostrazione della fiducia
che la Chiesa ha nella giustezza del suo punto di partenza: crede che lo sforzo
dello studio, nella libert? e con tutti i mezzi propri dar? i suoi frutti precisamente
per essere ancorata a quella Tradizione che pu?introdurre a una vera comprensione
della Sacra Scrittura. Lungi dal vedersi minacciate, la ragione e la libert? sono
cos?altate per il fatto di partecipare all?venimento della grazia presente
nella Chiesa.